UN VIAGGIO AI CONFINI DEL MONDO PER UN BUON NATALE A CHI NON L'HA MAI AVUTO Verso la fine del mese di novembre è venuta a trovarmi la madre di due bambini che curo da cinque anni insieme a una mia amica e al direttore delle scuole elementari e materne del 53° Circolo Merelli di Roma, scuola che frequentano i miei figli, dicendomi: abbiamo deciso di inviare degli aiuti umanitari a dei bambini dell'ex Zaire come regalo di Natale. Abbiamo pensato di inviarli a Goma o a Bucavu che si trovano vicino al Burundi sul lago Kivu. Gli risposi: lì c'è la guerra non ci si può andare, inoltre non ci si può arrivare direttamente senza affidarsi a Organizzazioni Umanitarie Internazionali, non ci sono trasporti e non ci sono aerei; quando ci sono stato nel 1994 mi sono reso conto che se accadono imprevisti è difficile uscirne fuori. Comunque se avete deciso per il Congo vi posso aiutare, infatti da circa due anni ho iniziato a inviare aiuti alla Diocesi di Luebo nel Kasai Occidentale. Purtroppo gli aiuti umanitari arrivano nelle capitali o dove c'è il fronte della guerra. Chi ha la sorte di vivere in un paese in guerra lontano da tutto non ha niente, muore. Chiesi l'autorizzazione al presidente dell'AFMAL, approvò e iniziò la missione in emergenza. Suggerii di portare come capo missione Padre Jose Muamba Bamubili, un parroco congolese che vive in Sicilia vicino Palermo e che conosco molto bene. Fu preparata una lettera che fu data a tutti i 1650 bambini delle scuole interessate nella quale si chiedevano supporti per la scuola, vestiti per bambini e soldi per la spedizione. Di materiale ne venne raccolto molto ma di soldi pochi, comunque non bastavano per la spedizione. Non importa, tra parenti e amici, riuscimmo a trovare quasi tutto. Non potevamo lasciare i bambini senza regalo di Natale. Per spendere il meno possibile scegliemmo come compagnia aerea la Ethiopian Airline. Passa per Addis Abeba, Kinshasa, Lomè, Abijan, Addis Abeba, Roma. Un poco stancante ma economico. Mercoledì 9 Dicembre1998: inizia la missione E' arrivato a Roma Padre Jose' Muamba da Palermo, tutti insieme andiamo da Mons. Kabongo (casualmente si trovava a Roma). Vescovo e Arcivescovo della Diocesi di Luebo, Vicepresidente della Conferenza Episcopale del Congo. Per otto anni è stato segretario del Papa Giovanni Paolo II. E' molto contento di questa iniziativa, ma non crede che riusciremo ad arrivare a Luebo in così poco pochi giorni, in Africa le distanze sono molto lunghe. Il Congo è grande come l'Europa e le strade non sono asfaltate. Inoltre questo è il periodo delle piogge. Ci augura buona fortuna e ci consegna una lettera di benedizione in prega tutti coloro che ci incontrano, civili e militari, di aiutarci in quanto missione umanitaria protetta dal Vescovo di Luebo. Sarà la nostra salvezza. Ore 23.00 : Si parte dall'aeroporto di Roma con i nostri 809 kg. di materiale al seguito. Siamo in tre: Padre Josè Muamba, Rossella Mercurio ( la madre dei miei piccoli pazienti, in qualità di addetto culturale delle scuole del 53° Circolo promotore dell'iniziativa) ed io in rappresentanza dell'AFMAL. Abbiamo portato tutto, niente è stato perso, abbiamo consegnato tutto personalmente ai bambini, alla Diocesi e all'Ospedale di Luebo. E' stato un viaggio lungo e pieno di difficoltà. Abbiamo superato il sovrappeso all'aeroporto di Roma. Abbiamo superato lo scalo ad Addis Abeba. L'arrivo a Kinshasa. I militari. Il permesso per la zona mineraria. Il permesso del Ministero degli Interni. Il permesso del ministero degli Esteri. Non avevamo nulla di tutto questo, ogni volta che superavamo un ostacolo se ne presentava un altro. Lo sdoganamento a Kinshasa è stato pieno di difficoltà. I pacchi sulla pista dell'aeroporto avevano già preso un'altra direzione. Gli siamo corsi dietro a riprendercelipassando attraverso il tapis roulant. Lo stress dei militari per l'arrivo del Presidente Kabila. All'aeroporto tutti che vogliono portare i bagagli, venti persone su una valigia. Basta toccarla che si ha il diritto di essere pagati. Non dobbiamo mai perdere la pazienza. Padre Josè Muamba ci guidava con la sua calma e serenità. Tempo record di sdoganamento: un giorno. Abbiamo superato tutti gli ostacoli, la lettera di Mons. Kabongo ci ha protetti e fatto superare tutte le difficoltà. Abbiamo incontrato la pioggia tropicale. Gli scatoloni di cartone degli aiuti umanitari incominciano a sciogliersi. Rifacciamo tutte le casse. Sono le cinque del pomeriggio di sabato 12 dicembre. Domani si riparte per Kananga l'ultimo posto che in Congo si può chiamare città. Domenica 13 dicembre: Aeroporto di Kinshasa. Un funzionario di polizia ci blocca. Mancano dei documenti. E' l'ultimo volo, se ne riparla tra due giorni. Siamo preoccupati. Padre Gioacchino, un sacerdote domenicano amico di padre Jose' che abbiamo incontrato per caso all' aeroporto ci salva e ci aiuta a partire. Kananga ore 13.00. Ci ritirano i passaporti. Padre Gioacchino interviene nuovamente. Risolviamo con una multa. Lunedì 14 dicembre. Kananga. Nuovo sdoganamento. Ci aiuta la Diocesi di Luebo. Troviamo un piccolo aereo CESNA che con due viaggi ci può portare a Luebo. Apriamo le casse e mettiamo dentro l'aereo tutto il possibile. Il carico supera di almeno 200 kg. il peso massimo al decollo consentito. Piove non possiamo partire. Ore !5.00 smette di piovere. Forse ce l'abbiamo fatta. Sono preoccupato perché la pista di atterraggio in terra battuta a Luebo forse è allagata. La pista di Kananga sembra non finire mai. L'aereo lentamente prende velocità e dolcemente si alza dal suolo. Passano 45 minuti che non finiscono mai. Vediamo un prato in mezzo alla foresta tropicale. E' la pista di atterraggio. Ci sono dei tronchi d'albero in mezzo. I militari ci aspettavano per questa mattina e non vedendoci hanno nuovamente messo i tronchi sulla pista per non fare atterrare gli aerei dei ribelli. Il pilota Pierwilly sorvola alcune volte a bassa quota il campo. Arrivano i militari e tolgono gli alberi. Possiamo atterrare. C'è fango e acqua sulla pista. Siamo molto pesanti. Atterraggio perfetto. Applaudiamo a Pierwilly. Quando scendiamo siamo circondati da militari molto sospettosi e nervosi. Ci viene incontro anche il parroco della chiesa di Luebo. Ci controllano, ma quando vedono cosa trasportiamo si rilassano. Inizia la festa dei bambini e del villaggio. Padre Josè recita una preghiera di ringraziamento. Siamo commossi. Carichiamo tutto su una Jeep e partiamo per i due chilometri che ci aspettano al di là del fiume. Dopo 500 metri ci fermiamo. Incontriamo un camion impantanato. Un gigante alto circa due metri con una forza incredibile spala come un forsennato per oltre 30 minuti sotto le ruote del Camion. Non è neanche affannato. Si ferma, si rivolge verso padre Josè Muamba e con le lacrime agli occhi dice: Grande fratello, sei proprio tu?. Erano quattro anni che non si vedevano, Josè sapeva che era stato ferito in guerra, poi nessuna notizia. Il fratello di Josè si chiama Giovanni Martino Kapuco, che significa "piccolo topo". E' nato prematuro, a vederlo non sembra. Vive in un altra città e si trova lì per caso. E' stato chiamato per aggiustare quel camion e non sapeva del nostro arrivo, proseguiamo e arriviamo a notte fonda alla Diocesi. Ci aspettano. La festa è grande. Scarichiamo dalla jeep il carico. Non c'è luce. Il cielo risplende con milioni di luci. Appaiono due stelle cadenti. Ci scambiamo uno sguardo, forse tutti noi abbiamo desiderato la stessa cosa. Mangiamo spaghetti, pesce e manioca che ci hanno preparato le suore e andiamo a dormire. Alle sei comincia la nuova giornata. Padre Josè celebra la messa, incantati ascoltiamo i canti africani che l'accompagnano. Fuori i bambini ci aspettano. Non hanno mai ricevuto un regalo per Natale in vita loro. Non hanno mai visto un uomo bianco ad esclusione di qualche missionario. Sono molto eccitati. Distribuiamo loro quante più cose possibile. Sono felici. Ci viene da piangere. Loro iniziano a cantare e ringraziano i bambini di Roma. Ci separiamo. Padre Josè e Rossella continuano a visitare altre scuole, io vado a visitare la scuola infermieri e l'ospedale. La scuola è molto ordinata ma non hanno strumenti a disposizione. Le tavole didattiche sono talmente consumate che sono diventate trasparenti. Lo scheletro di anatomia non ha più ossa, il manichino per le lezioni di ostetricia è come l'orsetto consumato di peluche che hanno i nostri bambini quando dormono. Gli manca un braccio e la testa è attaccata al corpo con un filo. L'ospedale è desolante, non ha nulla. Di 200 posti letto solo 10 sono occupati. Nessuno ha i 3 dollari che servono per la degenza. Si muore senza sapere perché. Incontro l'ostetrica. Ieri sono nati due bambini. Sono bellissimi. Tutti i bambini sono bellissimi. Uno di loro ha un pannolino, forse l'avevano conservato per le grandi occasioni. Mi viene incontro un medico ruandese. E' arrivato lì con la moglie e i figli. Sono riusciti a fuggire dai massacri del Ruanda, hanno fatto 2000 chilometri a piedi o con mezzi di fortuna. E' molto bravo fa molte cose senza poter disporre di nulla. Mi ha ringraziato del materiale chirurgico che gli avevo mandato qualche mese fa. L'ultimo intervento di appendicite lo aveva fatto con l'ultimo filo a disposizione, con una lama di bisturi usata, con una pinza Kocher, senza forbici e senza guanti. Ho finito tutto mandami dall'Italia qualcosa se puoi, mi ha detto. Lo aiuterò sicuramente. Sento suonare un clacson di una macchina. Esco fuori. Sono venuti a prendermi. Siamo terribilmente in ritardo: sono le 9,30 e alle 10,00 abbiamo a Kananga la coincidenza per Kinshasa, unico volo settimanale, se lo perdiamo non possiamo tornare in Italia. Corriamo verso la pista dell'aereo. I militari ci fermano e ci chiedono i permessi. Torniamo indietro, andiamo a casa del loro comandante, padre Josè lo stordisce di parole. Lo carichiamo sulla Jeep, lo usiamo come passpartout. Sono le 10,15 è tardissimo il pilota Pierwilly è arrabbiatissimo. Speriamo nei tempi africani. Decolliamo alle 10,45. Il pilota chiama la torre di controllo pregando di aspettarci. Arriviamo alle 11,15. L'aereo della Congo Airline è ancora sulla pista. Ce l'abbiamo fatta. Scendiamo dalla scaletta e montiamo sull'altra, senza ceck-in, senza niente. Gli amici della diocesi arrivano in pista a salutarci. Arriviamo a Kinshasa. La mattina dopo andiamo a confermare il volo per l'Italia. Padre Josè si accorge che gli serve un foglio di immigrazione per tornare in Italia. Sono le 11,00, alle 14,00 dobbiamo essere all'aeroporto. Padre Josè ancora non riesce a ottenere il visto. Sono le 14,30 amareggiati andiamo all'aeroporto. In qualche modo riusciamo a imbarcare tutti i bagagli, anche quello di Josè. Chiamano il volo, Josè non arriva. Andiamo verso l'aereo quando Josè compare. Esplodiamo di gioia. Ce l'abbiamo fatta. Missione Compiuta.
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December 2023
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