Viaggio nella preistoria lungo la valle del fiume Omo per cercare i nipoti di Lucy) Roma, 30 luglio 2001. Mi viene a trovare Pierpaolo Quercioli, un mio caro amico. E'medico come me, ma fa l'oculista tra Siena e Roma. Mentre andiamo a prendere un aperitivo al bar dell'Aeroporto dell'Urbe mi dice: mi ha telefonato mio cugino Michele Cannizzaro da Addis Abeba chiedendo di accompagnarlo nel sud dell'Etiopia al confine tra il Sudan e il Kenya, nella valle del fiume Omo. Non è una missione umanitaria come quelle che sei abituato a fare, ma non credo che sia molto diverso. Il posto è lontano, molto lontano. Le strade e i villaggi non sono segnati neanche sulla cartina geografica, sono posti molto isolati e ci si arriva solo dopo 4-5 giorni di fuoristrada tra piste e guadi inaccessibili per sei mesi l'anno. Gli chiedo: non è per caso dove hanno trovato Lucy, la “madre di tutti gli uomini”, morta per cause sconosciute circa quattro milioni e mezzo d'anni fa? Non proprio, mi risponde, ma sicuramente troveremo i suoi pronipoti. Pare siano fermi all'età della pietra; inoltre potremo vedere se è possibile portare aiuti sanitari o porre le basi per quel progetto di cura della cataratta oculare e prevenzione della cecità infantile da Tracoma. Il fuoristrada è per cinque persone, oltre a mio cugino Michele, verrà un meccanico di sua fiducia e un mio amico d'infanzia. Si chiama Gianni de Tommaso e lavora alle dogane. Non è mai stato in Africa, ma ha fatto per molti anni lo Scout, è molto adattabile e simpatico. Ti ricordi? Siamo andati insieme con lui in volo turistico con l'aliante pilotato da Pietro Filippini sull'aviosuperfice di Torre Alfina vicino Orvieto
Aeroporto di Fiumicino, domenica 19 agosto, ore 00.15. Siamo davanti al check-in dell'Etiopian Airline. Abbiamo una valigia, le tende e un piccolo bagaglio a mano contenente gli strumenti medici più delicati, qualche farmaco e un regalo fragile per Michele. Molto meno peso del consentito. Dopo la consegna delle valige ci ferma un “uomo bianco” di mezza età ricoperto da una sottile patina di sudore, con i vestiti verdi stropicciati e la barba non rasata da almeno due giorni. Dice di essere il responsabile della sicurezza. Si rivolge a Gianni e, con atteggiamento simile a quello di alcuni suoi colleghi corrotti che lavorano in diversi Paesi sottosviluppati, lo blocca. -Per motivi di sicurezza del volo, afferma, questo bagaglio non può passare, pesa almeno due kg più del consentito. -Non si può chiudere e contiene cose molto fragili che per noi sono importanti, risponde imbarazzato Gianni. -C'è uno sportello riservato per le cose fragili e lo può chiudere con uno spago, vada allo sportello e risolverà tutto, conclude il tizio. Mentre Gianni se ne va sconsolato, visibilmente imbarazzate, le hostess di terra dell'accettazione, quasi a volersi scusare, dicono tra loro: E' la ventitreesima persona che questa sera viene mandata inutilmente là. Passa quasi mezz'ora e vediamo tornare a passo svelto Gianni. -Sono andato dove avete detto e non c'era nessuno, dice con sottomissione. -Non importa, lo spedisca così, conclude il tizio, tanto sono sicuro che arriverà in Etiopia. Toglie il bagaglio dalle mani di Gianni e lo mette sul nastro trasportatore. La piccola borsa indifesa se ne va e, promettendo tra noi denunce ed esposti, indispettiti e preoccupati in coro diciamo: -Speriamo che non sia un presagio. Inizia il viaggio! Dopo il panino al deuty-free, i giornali per Michele, il trenino “spaziale” senza conducente dell'aeroporto che ci porta al Satellite dell'imbarco, ritroviamo il “tizio di prima”. Sembra non vederci e forse per rimorso di coscienza ci fa passare. Si decolla. Dormiamo tre ore, poi la sveglia per la colazione e l'arrivo a Addis. Dal '94 è la quarta volta che ci ritorno. Migliora sempre. All'uscita dall'aeroporto vediamo un centinaia di persone in attesa. -Dovrebbe esser venuto qualcuno a prenderci, dice Pierpaolo. Non passa molto e vediamo emergere dalla folla un gigante alto due metri. E' Michele J ! -Ciao dott. Quercioli - dice -, vi porto a casa, vi cambiate e prendiamo un caffè. Da questo momento sono il vostro “Tour Operator”! Andremo col mio Toyota che guiderò personalmente, verrà con noi un meccanico. E' una sicurezza in più. Proveremo a raggiungere la foce del fiume Omo sul lago Turkana. Andremo a trovare i discendenti diretti di Lucy. E' una delle donne più anziane che conosco, una nostra parente, insomma. E' morta quattro milioni e mezzo di anni fa. L'hanno ritrovata abbastanza ben conservata pochi anni fa. Credo che non fosse molto alta e carina, ma indubbiamente ha del fascino! Da allora non è cambiato molto. I turisti sono arrivati lì da tre o quattro anni. Chi vive là rimane isolato a causa delle inondazioni e delle piogge oltre sei mesi l'anno. Tutto ciò per loro è una ricchezza e una disgrazia! Sono liberi, ma non vivono più di trenta o quarant'anni. Incontreremo i Mursi, le loro donne portano ancora il “piattello labiale”. Ci accoglieranno anche i Karo, gli Ahmer e i Dossembala. La strada me l'ha indicata un mio amico. Si chiama Maurizio. E' un italiano nato e vissuto in Etiopia. Conosce molto bene la valle del fiume Omo. Pensa che lo discende tutto con i gommoni facendo un rafting che dura 20 giorni. Compriamo al supermarket più caro del mondo venti scatole tra sardine tunisine e tonno, trenta confezioni di pomodori pelati, tre scatolette di carne australiana, dieci chili di pasta, sei litri di vino etiopico, formaggini, acqua minerale e quant'altro per noi indispensabile e partiamo. Prima tappa. Lago Langano: Arriviamo nel pomeriggio, un po' in ritardo, ma non importa. Le lasagne mangiate nel ristorante a Ducreme sono buonissime. Le ha preparate Rosa. È una signora etiopica. Ha sposato un italiano, ha imparato a cucinare italiano e ha aperto un ristorante. E' il migliore della zona. Ci accoglie Sonia, la moglie di Michele. Ceniamo, montiamo le tende e ci sediamo attorno al fuoco. Corrono a salutarci cantando e ballando i pastori del villaggio. Si uniscono a loro i bambini. E' festa. Non ho più sonno, ma vado a dormire. E' la prima notte africana. Ci addormentiamo cullati dalle onde del lago. Una piccola brezza ci rinfresca, la luna e le stelle si nascondono a tratti dietro le nuvole che si rincorrono. Siamo in montagna ed è ancora la stagione delle piogge. Martedì 20 agosto, ore 06.00: Mannaggia i pesciolini (per non dire porcaputtana)!!!!!!!!!!!!!!! Piove e le tende sono piene d'acqua. Non abbiamo messo i picchetti e la pioggia tropicale ci ha inondati. Stiamo in piedi dentro la tenda per tenere forte le stecche. Il vento fa ondeggiare i nostri igloo che sembrano voler volare via. Per fortuna dopo mezz'ora è passato tutto. Asciughiamo e pieghiamo le tende e si parte. Destinazione Arbaminch. 500 km a sud di Langano, Ci si arriva dopo essere passati per Shishamani, la città dei Rasta. Negli anni ‘60 l'Imperatore d'Etiopia Hailè Selassiè, detto anche Rafstajani andò in visita ufficiale in Giamaica. A memoria d'uomo era l'anno della più grande siccità e carestia mai esistita in quell'isola. Quando si affacciò dalla scaletta dell'aereo, iniziò una pioggia torrenziale che rappresentò la fine di un processo di desertificazione. Gli Indigeni avevano già da tempo iniziato a pregare e gli sciamani avevano predetto che quella catastrofe sarebbe finita quando un dio venuto dal cielo avrebbe portato la pioggia. Era fatta! Hailè Selassiè regalò un terreno alla comunità giamaicana e nacquero i Rasta. Il loro profeta sarà il mitico Bob Marley e l'Etiopia sarà riconosciuta come il centro della terra. E' l'imbrunire, dopo una mangiata di chilometri e polvere, finalmente arriviamo all'hotel Bekele Molla di Arbaminch. Siamo sulla terrazza. Gianni De Tommaso sorseggia una coca cola sconvolto da visioni e spazi che il suo occhio non ha mai visto. Davanti ci sono i laghi Chamo e Abaya. Le luci rosse della torre di controllo dell'aeroporto sono l'unico segno di progresso che appaiono nel nostro orizzonte indefinito. Lo spazio sembra non finire mai. Un orizzonte che insegue l'altro attraverso montagne, laghi, foreste e savane senza mostrare altri segni oltre quelli che la natura ha creato milioni di anni fa. I due laghi che abbiamo davanti sono separati da un monte chiamato dell'Arcangelo Gabriele. Vuole la leggenda che sia stato l'Arcangelo a separarli. A questo punto rapiti dal paesaggio decidiamo di cenare in albergo. Il pesce di lago è buonissimo, ma la fatica pesa sulle spalle di Michele e Pierluigi che decidono di andare a dormire. Gli altri due amici decidono di fare una passeggiata per smaltire la cena e le lunghe ore di immobilità sul fuoristrada. Mentre si allontanano lungo la strada che porta all'ingresso dell'Hotel., Pierpaolo chiede a Gianni le impressioni provate. ( E' NOTTE, LA STRADA è BUIA E PIERPAOLO RACCONTA) “Non ho mai visto nulla di simile , devo ancora metabolizzare. Mi sembra di essere nel bel mezzo di un documentario di cose viste soltanto alla televisione”, dice Gianni. “La natura è stupenda e la gente trasmette un senso di amicizia e di ospitalità che non avrei mai creduto. Non hanno nulla eppure ti guardano contenti anche di un sorriso, hai visto quella ragazza che oggi si è messa a gridare ai bordi della strada ?”. “ Si”, risponde Pierpaolo, “era contenta e felice per il solo fatto che l'hai salutata. Probabilmente eri il primo europeo che ha visto in vita sua, è stato sorprendente vero?” Intanto chiacchierando proseguiamo sulla strada fangosa massacrati dalle zanzare che ci hanno preso di mira nonostante l'autan. Non ci sono lampioni, solo la luce di qualche chiosco ancora aperto sino a che non arriviamo da Rosa, un piccolo locale con annesso un ristorante. “Che si fa , si entra? Magari beviamo qualcosa e vediamo qualche ragazza carina?” dico io” perché no?” risponde Gianni che mi pareva anche lui apprezzare la bellezza etiope. Entriamo , il locale è piccolo, ma carino. Nel bar la televisione trasmette una serie di cantanti etiopici la cui musica non ci era poi male , ordiniamo due birre e cominciamo a falcare due belle ragazze etiopiche sedute accanto a noi. Ben ricambiati , ci guardiamo pensando su come …ed ecco che ci arrivano le birre. Le porta la proprietaria in persona , che ci chiede se siamo italiani. E' molto simpatica , ha sposato un italiano che faceva il camionista. Ha tre figli e diversi nipotini che vivono tra Bergamo e Padova , lei va a trovarli ogni anno , ma in Italia si annoia , non ha nulla da fare ed allora preferisce tenere aperto il suo locale .Tira fuori le foto dei figli , dei nipotini , si offre di procurarci a buon prezzo un battello per andare a vedere i coccodrilli sul lago Chamo. Intanto sono passati tre quarti d'ora e le nostre potenziali nuove amiche hanno già trovato la compagnia di due ragazzi etiopici meno imbranati di noi “ ce ne andiamo?” “ eh si sono un po' stanchino “ e noi due , fave ! ci avviamo pian pianino verso l'hotel. Mercoledì 21 agosto, ore 10.00: Tutti i tour operatore che si rispettano fanno partire i loro clienti all'alba, ma il nostro Michele Cannizzaro è speciale: si dorme e si parte quando ci va. Tanto si arriva lo stesso e se non si vede proprio tutto sarà l'occasione per tornare ancora. Il dott. Pierpaolo Quercioli ,detto il cuoco, il doganiere- boy scout Gianni de Tommaso, detto il cambusiere, il meccanico Abebe, detto il maggiordomo, il “pediatra di fama internazionale” dott. Pierluigi Casa, detto il coordinatore, ma in realtà facente funzioni di scansafatiche sono pronti alla partenza. Mentre il nostro meccanico-maggiordomo-aspirante autista carica i bagagli, noi facciamo colazione con uova, succo di frutta e caffè. -Pierluigi! Guarda quel babbuino!- Dice Pierpaolo- Non fa in tempo a finire la frase, che una femmina col suo piccolo in braccio salta veloce sul tavolo degli spagnoli a fianco, ruba un panino e se ne va. -Chissà da chi hanno imparato, dice Gianni. Operazione riuscita conclude Michele. -Il Toyota è stracarico, i dieci quintali di carico si sentono e le balestre ne soffrono. Andremo piano e guiderò sempre io, dice Michele. Lasciamo il lodge e Arbaminch. Il cielo è sereno. Non fa caldo. In lontananza si vedono truppe di militari che affollano le strade. Sono i veterani che hanno combattuto contro l'Eritrea. Sono migliaia. Chissà cosa faranno ora che è finita la guerra. La maggior parte di loro viene da villaggi sperduti nella savana. Non sarà facile reinserirli! Povera Africa! Prima il traffico di schiavi, poi il colonialismo, ora il neo-colonialismo. Oltre 300 milioni di morti da quando hanno scoperto l'America! Dopo due ore di buona pista in terra battuta arriviamo a Konso. Hotel Saint Mary. -Mangeremo lì e al ritorno ci dormiremo pure, dice Michele. Il posto è un “pelino rustico”. Il bagno “African Style”. Per lavarsi le mani un bidone di acqua piovana. Lo chef è gentilissimo. Da mangiare Tips, Hangera, pesce, birra e acqua Ambo. Sul bancone del bar gli adesivi dei tour operator. -Anche qui quelli di “Avventure nel mondo”!, esclama sconsolato Gianni De Tommaso. Si guarda intorno mentre sul soffitto ondeggia un filo di nylon con la pubblicità di Hatù. -E' il simbolo della lotta all'AIDS, mormora tra sé pensieroso Pierpaolo. Rimontiamo in macchina, direzione Jinca, ultima città segnata sulla cartina. Lì finisce anche la strada. Sono le 14.00 fa caldo. La macchina cammina bene, facciamo il primo guado. Michele è il miglior pilota di fuoristrada che ho conosciuto. Ha imparato a guidare facendo il giudice di rally africani e girando tra la Dankalia e la Somalia. Suo nonno aveva degli interessi a Gibuti e andavano spesso insieme. Dopo non più di un'ora, si accende la spia della temperatura dell'acqua. Per fortuna che c'è il meccanico. Ci fermiamo all'ombra di un albero. Non passa molto e siamo circondati da una tribù di bambini urlanti “ caramela, caramela, bon bon, fammi una foto, dammi un birr”. Non sappiamo che fare: carezze, sorrisi. Regaliamo una matita. Non ne possiamo più. -Le caramelle l'ha lui, fa pure le foto, esclama ghignando Pierluigi, indicando Pierpaolo. Come per incanto i bimbi si fermano. Si rivolgono a lui urlando ed esultanti e non lo lasciano più. -Questa me la paghi, tra il divertito e l'arrabbiato, risponde Pierpaolo. Per fortuna era solo un contatto elettrico. Si accende la spia, si blocca il finestrino elettrico e il gasolio segna zero, ma tutto procede bene. La pista peggiora, la polvere aumenta. Per la strada vendono incenso. Finalmente arriviamo a Jinca. E' l'ultimo posto dove ci sono case. Alcuni bimbi giocano a calcio sulla pista di terra dell'improbabile aeroporto. Cerchiamo un albergo, non lo troviamo. Sono arrivati trenta turisti spagnoli. Hanno occupato tutte le stanze. Non importa, troviamo un campeggio, ci fermiamo e montiamo le tende, Il posto è delizioso, le piazzole sono delimitate da siepi molto ben curate. C'è lo scout ci accoglie e ci indica i “servizi”. -Vado a vedere! Ma questo è un “buco nero” largo tre metri e profondo cinque! Esclama preoccupato Pierluigi. Se ti avvicini di notte ci cadi dentro! -Andiamo in paese a cenare, sarà l'ultima volta che lo potremo fare in un ristorante, conclude Michele. C'è solo l'imbarazzo della scelta! Un albergo-ristorante affollato di turisti (sempre i soliti spagnoli che si sono mangiati tutto). La pasta è scotta, la carne buona, le patatine fritte meglio di quelle di Mc Donald. Forse qui non c'è la “mucca pazza”. Il conto va bene. Non mi sembrano care Lit. 2.500 a testa. Dopo il pasto frugale decidiamo di andare a sentire un po' di musica. Vediamo in lontananza delle luci colorate. Ci avviciniamo e sentiamo della musica africana. -Carino, dicono Pierpaolo e Gianni. Michele e Pierluigi si guardano sorridendo e dicono: -Volete un drink? -Certamente rispondono! Non facciamo in tempo ad entrare che Pierpaolo viene circondato da una nuvola di ragazze che avevano sete J E' proprio un “fico”. Credo che i polpi hanno meno mani di quelle che circondavano Pierpaolo. Gianni fa l'indifferente, ma traspariva dal suo viso un po' d'invidia benevola. Beviamo una coca cola e un whisky e a fatica trasciniamo via i nostri compagni. La “caccia” è andata male per le aspiranti “fidanzate” che avevamo trovato. Torniamo al campo e sotto le stelle e la luna piena ci addormentiamo nelle nostre tende. Giovedi 22 agosto La mattina arriva presto. Sentiamo dei rumori nella piazzola vicino a noi. Sono dei ragazzi israeliani che dopo aver finito il servizio militare stanno traversando l'Africa a bordo di una Nissan Patrol S.W. Ci affacciamo incuriositi e li troviamo tutti sudati intenti a smontare una gomma forata. Indubbiamente un cacciavite, un martello e un cacciagomme sono un po' scomodi da usare. Chissà perché non sono andati dal gommista in paese, dice Michele. Con 500 lire avrebbero riparato tutto senza faticare né sporcarsi. Passa circa un ora e mentre tre di loro continuano a “lottare” con la gomma, facciamo amicizia. Sono simpatici. Ci raccontano le loro esperienze con i MURSI. Li hanno visti ieri. Sono turbati e spaventati per l'accoglienza ricevuta. Ce li descrivono come violenti. Ci hanno chiesto i soldi per essere fotografati! Li hanno pretesi! Ci dice la ragazza che stava con loro. Chissà se glieli hanno dati, pensiamo sorridenti. - Vedremo, ci rincuora Michele. Mi hanno assicurato che è sufficiente dare un birr per ogni foto e sono gentilissimi! Mentre prepariamo i bagagli, un bambino con un arco rudimentale sta giocando vicino a noi. Gli si avvicina uno scout del campo, se ne impossessa, e comincia a tirare una freccia contro un paletto distante una ventina di metri. Chiaramente sbaglia e manca il bersaglio di oltre 5 metri. - Voglio provare anche io dice Pierpaolo! Noi incuriositi guardiamo e vediamo il nostro “cuoco” che scaglia una freccia. Si perderà lontano! Non si troverà mai più! Con fare apparentemente modesto il bimbo prende l'arco e sceglie accuratamente due frecce. Hanno sulla punta il bossolo di un kalashnikov. Prende accuratamente la mira e scaglia il primo dardo. - Incredibile! Esclamiamo. Ha fatto centro! Il nostro piccolo Robin Hood (non avrà più di sei anni) prende una seconda freccia, mira accuratamente e fa nuovamente centro! Se non avessero nel DNA queste doti, non sarebbero sopravvissuti fino a oggi, stupefatti e meravigliati diciamo tra noi! Saliti sul nostro Toyota partiamo alla volta del Mago Park. Ci voltiamo per salutare i nostri amici israeliani e li vediamo che hanno preso la ruota per portarla a riparare in città. Gli sorridiamo, ci sorridono. - Speriamo di rivederci presto gridiamo allontanandoci diretti al più vicino hotel. Affittiamo una stanza per due ore, il tempo di fare una doccia. Paghiamo l'equivalente di lire 10.000 e partiamo seguiti dallo sguardo stupito del gestore. - Si vede che non conosce gli alberghi diurni, dice Michele Cannizzaro, il nostro mitico “driver” della valle del fiume Omo. All'uscita da Jinca ci fermiamo al mercato, compriamo un machete, dei lucchetti cinesi e un po' di frutta. Mentre stiamo risalendo in macchina si avvicinano due donne Mursi con i bambini in braccio. Alte, belle, ma con un piccolo difetto. Hanno il labbro inferiore bucato e un po' deformato che gli arriva tre dita sotto il mento. Pierluigi, anzi, il dott. Casa, con aria falsamente professionale, chiede a gesti: - "Posso fare una foto?" -"Due birr...." ,risponde la donna. - "Un birr..." , conclude il dottore. Si mettono in posa e….. click J ! -Ti serve per un congresso - dice “perculeggiando” Pierpaolo. -NO! “ce stà a provà” conclude Gianni. La tappa non è lunga, solo quattro ore di semideserto polveroso. Incontriamo un improbabile bar con gli avventori mezzi ubriachi che dormono sotto una “paillotte”. Beviamo una coca cola calda e ripartiamo. Inizia la vegetazione del fiume, non fa caldo. Un grande camion ci precede. Per fortuna dopo mezz'ora che gli stiamo dietro mezzi intossicati dal fumo della marmitta ci fa passare. I finestrini rotti e abbassati ci faranno soffrire borbottano Pierluigi e Pierpaolo. Arriviamo al Mago Park. Ci fermiamo alla direzione. E' un posto desolato con una casa per gli scout, due teschi di elefanti che sembrano di Mammut, qualche camaleonte e un cobra di oltre due metri arrotolato dietro un fusto di lamiera. Ci controllano i documenti, ci affidano al ranger con kalashnikov che avrà cura di noi e andiamo verso quello che sarà il nostro accampamento. E' bellissimo: siamo immersi nella foresta. E' uno spiazzo di circa 1000 mq coperto dagli alberi che ci fanno da tetto. C'è un enorme tronco d'albero che brucia lentamente, sarà utilizzato per fare la brace al nostro fuoco. Una pompa a mano “made in India” assicura a noi e agli abitanti dei villaggi vicini acqua pulita. Montiamo le tende cuciniamo spaghetti, beviamo caffè e ci sdraiamo stanchi, ma soddisfatti sulle sdraio che aveva portato Michele. Non passa molto e ci accorgiamo che il posto non è poi tanto deserto come crediamo: ci sono addirittura due persone con due fuoristrada e una moltitudine di servitori. Sembrano usciti da un opuscolo di un'agenzia di viaggi che vende fumo e felicità. Sentiamo un'animata discussione. -Sono italiani esclamiamo tra noi! Con falsa indifferenza “appiziamo” le orecchie (così si dice a Roma) e scopriamo che sono milanesi d.o.c.. Stanno litigando. Lei che tenta di godersi pace e tranquillità, Lui che stizzito commenta: -In Sardegna nel migliore albergo avrei speso un terzo, sarei stato più comodo e la natura sarebbe altrettanto bella. Ci sembra di capire che stanno spendendo oltre due milioni al giorno. -Mi sa che gli anelli al naso li hanno loro e non i Mursi che stiamo andando a vedere, esclama Pierluigi! -A proposito, replica Michele, Oggi avremmo dovuto incontrarci qui con Maurizio Melloni, l'uomo bianco che fa rafting sul fiume Omo. -Ma sei sicuro che sia questo il posto e oggi il giorno? E' come trovare un ago in un pagliaio! Questa parte dell'Etiopia è grande e semideserta, Il Mago Park è gigantesco chissà quanti posti dove accamparsi esistono. Maurizio è partito chissà quando e viene dalla parte opposta alla nostra. Dice Pierpaolo. -Abbiate fiducia di me che sono la vostra guida e Tour Operator, replica Michele. Continuiamo la nostra passeggiata in mezzo alla foresta accompagnati dallo scout armato e, dopo non più di 10 minuti, sentiamo schiamazzare dietro una fitta coltre di alberi e piante. -Sono Italiani, esclama Gianni! Si sente, conclude Pierpaolo. Ci avviciniamo e vediamo immersi nel fiume stranamente limpido per essere africano sei bianchi nudi come bruchi, coperti di sapone che schiamazzano contenti per quel bagno dopo giorni di polvere e sudore. -Si prenderanno l'ameba dice Pierluigi. -Impossibile, replica Michele. Questo è l'unico fiume balneabile dell'Etiopia. Qui non c'è Ameba, come non c'è nel lago Langano. -Ciao Maurizio, grida Michele, rivolgendosi ai “bagnanti”J . -Venite tutti a fare il bagno, poi siete invitati tutti a cena al nostro campo, gli risponde Maurizio. -Ok ci vediamo dopo, rispondiamo in coro. Che tipo incredibile Maurizio Meloni: capelli rossi, accento bolognese, sguardo attento, viso sorridente, qualche lentiggine sul viso. Non è molto alto, ma è simpaticissimo e con grande personalità. E' nato in Etiopia, è figlio di un imprenditore italiano, ha il mal d'Africa, pensa che è sempre rimasto qui anche ai tempi della rivoluzione. E' la persona che conosce meglio l'Etiopia. La conosce tutta. E' lui che organizza i rafting sul fiume Omo e alle cascate del Nilo. Lo cercano da tutto il mondo. Ha vissuto qui per circa dieci anni con un famoso esploratore americano che per lui è stato maestro di vita e avventure. Ci conferma Pierpaolo. Torniamo al campo, cuciniamo spaghetti con pomodoro, poi viene il secondo piatto: sardine in scatolaL e carne in scatola neozelandese J . -Se non vi dispiace io mangerei solo pasta e carne in scatola, si affretta a precisare Gianni. In coro lo aggrediamo dicendo: -Per quel che ci riguarda puoi anche morire di fame! Povero cocco! Non fare il furbo! -Scusate “ci ho solo provato, stavo scherzando, sogghigna Gianni. -Ti perdoniamo, ma mangerai solo pasta e la tua porzione di carne, impone Pierluigi. Detto, fatto. Gianni si avventa sulla carne in scatola e se ne mette in bocca circa la metà. Immediatamente urla ed esclama sputando tutto con un conato di vomito: -Che schifo! -Ti sta bene, replica Pierpaolo sghignazzando. Ci guardiamo negli occhi e con la massima indifferenza chiamiamo lo scout che stava lontano e gli regaliamo pasta carne e sardine. Attoniti lo guardiamo mentre con gusto si divora quelle “prelibatezze”. E' notte. Con un po' di fame e molta curiosità decidiamo di andare a trovare Maurizio & C. Prendiamo una bottiglia di vino, la torcia, ci spalmiamo di repellente antizanzare e con un minimo di timore ci avventuriamo nella foresta alla ricerca dei nostri amici. Facciamo non più di cinquanta metri (ci sembrano 50 chilometri), quando in lontananza vediamo un falò e sentiamo un vociferare in italiano. -Sono loro, esclama Michele! -Ciao ragazzi, venite, vi stavamo aspettando! Mangiamo insieme, abbiamo già preparato la cena! Ci risponde Maurizio. Un po' imbarazzati, timidamente, falsi come “Giuda” e con una fame tremenda, rispondiamo: -abbiamo già mangiato, vi abbiamo solo portato il vino! -Non fa nulla, la carne è pronta, le bibite sono ghiacciate e i piatti sono a tavola. Buon appetito ci augura Maurizio. Il loro campo è assolutamente perfetto. Hanno due Toyota, due autisti- meccanici. Sulla prima vettura trasportano viveri, frigo con ghiaccio, le tende, le taniche per il gasolio, l'acqua minerale e tutte le attrezzature necessarie, sulla seconda sono comodamente sistemati i viaggiatori. La tavola è una serie di teli distesi per terra davanti al falò. Ci sono i piatti, una forchetta e un bicchiere per ciascuno, dei cuscini pieghevoli con schienale che fungono da strane sedie. Una griglia con maiale al miele cotto sulla brace e una ghiacciaia portatile con bibite assolutamente gelate (n.d.r.: neanche sotto tortura vi dirò come hanno fatto ad avere per dieci giorni le bibite ghiacciate) completano la tavola imbandita. Attorno al fuoco ci sorridono i nostri nuovi amici: uno è un vecchio amico venuto dall'Italia, il secondo insegna lettere alla scuola italiana di Addis Abeba, il terzo è un ingegnere italoamericano venuto per vedere i Mursi , il quarto è un “turista per caso” che si era aggregato all'ultimo momento. Ci sediamo anche noi e passiamo la serata con i racconti affascinanti delle avventure di Maurizio: rafting sul fiume Omo e le discese in canoa alle cascate del Nilo bianco. Il parco di Awasa, i Dancali e il loro deserto di sale (il posto più caldo e inospitale della terra). I santuari copti di montagna del nord Etiopia, il fascino delle donne etiopi e le loro usanze. Improvvisamente Maurizio dirige il fascio di luce della sua torcia in mezzo al fogliame intricato della foresta, illumina due occhi gialli ed esclama: -La genetta, guardate si è fermata! E' una specie di gatto, molto simpatica, però si deve stare attenti perché ruba il cibo. Qui è pieno di animali, anche se non si vedono. Coccodrilli, qualche ippopotamo, antilopi, grandi scimmie. Basta avere una torcia e il fuoco che non si avvicinano. -Se lo dice lui, sussurra Pierpaolo. Strano però se tutto è così tranquillo che ogni gruppo ha il suo scout armato di kalashnikof, aggiunge tra il divertito e il preoccupato. Passiamo piacevolmente e inaspettatamente quel che resta della serata e verso le 22.30 decidiamo di tornare al campo. Salutiamo, ci alziamo e ci dirigiamo verso il nostro accampamento. La notte è particolarmente buia, si odono i rumori della foresta, non capiamo bene se sia il vento o le foglie mosse da altro che ci parlano con il loro misterioso linguaggio. Guardando in lontananza vediamo gli alberi e gli arbusti che intrecciandosi tra loro nella penombra hanno le forme di animali preistorici. -Si vede che Lucy quattro milioni e mezzo di anni fa è vissuta qui, dice ironicamente Pierluigi. Non deve essere cambiato quasi nulla da secoli. I primi turisti li hanno visti non più di quattro o cinque anni fa. -Penso che hai ragione, continua Michele. Qui vige ancora la legge tribale, si combattono e si uccidono come hanno sempre fatto da secoli. Tra loro c'è molta discriminazione razziale e religiosa. Pochi mesi fa gli Hamer in battaglia in un solo giorno hanno ucciso circa 800 Mursi (la popolazione del fiume col piattello labiale - n.d.r.) in tutto ne sono sopravvissuti circa 5000. Tra qualche anno saranno estinti. Prima usavano arco e frecce, ora le pallottole. Pensate che il governo centrale è intervenuto pesantemente imponendo le armi bianche in caso di guerre tribali. -Non potremmo camminare un po' più in fretta, interrompe Gianni. -Hai paura? Continua Pierpaolo. -Guarda che siamo arrivati! Replica Michele. Si vede la brace del nostro falò con lo scout e il nostro autista seduti a fianco. Prendiamo le sedie, il nostro autista ci prepara un Chivas e ci mettiamo a parlare delle emozioni della giornata. Pierpaolo fuma una sigaretta, Gianni con indifferenza ogni tanto accende distrattamente la torcia dirigendo il fascio nel buio (una settimana dopo confesserà che voleva scacciare gli animali). Il nostro scout-protettore con il mitra in braccio si mette a dormire sopra un letto di frasche posto sotto un albero. Sono le 23. Ci salutiamo e andiamo a dormire. Venerdì 23 agosto Passano circa tre ore e Pierluigi deve uscire per motivi molto personali. Si sente lo zip della tenda che lentamente si apre. Si odono dei passi che calpestano le foglie al suolo, poi un rumore di acqua che scorre tra le foglie seguito da un silenzio sinistro. E' sempre “Pierluigi di notte” J . La foresta sembra fermarsi. Gli uccelli notturni non cantano più. Improvviso da lontano sopraggiunge il rumore di un ramo che si spezza, si sentono dei passi veloci e pesanti di un grosso animale si avvicina con passo svelto. Pierluigi comincia a correre, inciampa, cade e si rialza al buio, apre di corsa la tenda e con un agile salto ci si fionda dentro ansimando. Fuori tutto tace, anche gli altri “eroi” in silenzio tombale. Lo strano animale si avvicina a passo lento. Inizia a scavare vicino alla tenda di Pierlu, poi si scosta e si rigira toccando le tende di Pierpaolo e Gianni. Il silenzio è sempre più pesante. La “bestia misteriosa” si allontana. Pierluigi sussurra: -Michele, dormi? Col “piffero”, risponde. -Ce l'hai la pistola? -L'ho lasciata in macchina! -Bravo furbo, valla a prendere! -Vacci tu! L'ho messa sotto il sedile di guida. -Vaffanculo. -Che sta facendo lo scout. -Sta dormendo o è scappato? -Stai tranquillo tanto fa la guardia e sicuramente non succederà nulla, queste parti sicuramente le conosce bene e sa anche quali animali ci sono e se sono pericolosi. -Ho mal di pancia, ci interrompe ululando Gianni. -Vai! Facciamo noi la guardia, con voce tremante lo incoraggia Pierpaolo. -Me lo tengo, e in caso domani mattina pulirò la tenda, conclude deciso Gianni. Ritorna il silenzio e con esso si riavvicinano i “passi del mistero” che per ore non ci abbandonano più. La notte sembra non finire mai. Nessuno parla, ma sono tutti svegli. Si fa l'alba, gli uccelli ricominciano a cantare, viene il giorno e ci abbandona il nostro “compagno di merenda notturna”. Lasciamo trascorrere un'altra ora, poi Pierluigi esce dalla sua tenda. -Venite non c'è nessuno, prepariamo un caffè! Dice a voce alta. Gianni apre di corsa la tenda e si precipita fuori tenendosi con le mani la pancia. Emergono allora, dalle rispettive tende anche Pierpaolo, Michele e il nostro autista-meccanico. Che cos'era, chiede in lingua amarica allo scout con la massima indifferenza Michele. -Il Guresa, rispose laconico lo scout -Cos'è il Guresa, chiede Pierpaolo. -Quelle grosse scimmie arboricole urlatrici che di giorno stanno sugli alberi e di notte cacciano al suolo. Hanno il pelo nero con una striscia bianca, ci fanno i tappeti e le hanno quasi sterminate ci rincuora Michele. Sono assolutamente innocue conclude imbarazzato. (Pierpaolo narratore) -“ Ce fanno i tappetini “ aggiunge Pierpaolo “ pure mi' nonna ce ne ha uno a casa…..”. Facciamo colazione il nostro autista-factotum prepara la tavola e Michele si fa portare la caffettiera ,seduto !, solo per riempirla con la giusta quantità di caffè. Pierluigi intanto risolve il problema dell' acqua per lavarsi, si avvia alla pompa e comincia a radersi. -Non posso sopportare la barba non fatta , mi sento sporco se non mi rado, dice il pediatra di fama internazionale, mentre il bimbo che il giorno prima ci ha aiutato a scaricare i bagagli con difficoltà ci fa capire che quella è acqua da bere. C'è solo quel pozzo nel raggio di decine di chilometri! No problem da bravi italiani riempiamo le pignatte per cucinare , come se quell'acqua ci servisse per bisogni alimentari e poi a turno ci facciamo la doccia . -Ci sarebbe anche il fiume da poter utilizzare per lavarsi, qualcuno preso dal rimorso abbozza. Ma che sei scemo, rispondono in coro Pierluigi e Pierpaolo. Sarà pure balneabile ma se ti vuoi beccare l'ameba vacci te! Ed ogni resistenza così fu vinta. Saliamo sul fuoristrada e decidiamo per prima cosa di andare a vedere i Mursi, il popolo forse più primitivo della zona, portano il piattello labiale da secoli forse era un modo per evitare di essere fatti schiavi (in Etiopia la schiavitù c'era ancora nel 1936, fu abolita dagli italiani ma c'è stato detto che ancora oggi volendo si possono comprare), vivono di pastorizia e pochi fra di loro parlano l'etiopico. Dopo un paio d'ore di fuoristrada su di una pista veramente infame, costituita solo da quello che è chiamato fango nero, arriviamo al villaggio Mursi. Il primo bianco ad esplorare queste zone è stato Bottego alla fine del secolo scorso e, pur non avendone visti molti, si sono organizzati. Un birr per ogni persona fotografata. Il che significa che, pure se il tizio si trova a 300 metri da te e stai fotografando il cielo, viene a pretendere il suo birr. Il nostro tour operator non conosce problemi, chiede chi è il capo ed intavola e conclude una trattativa. Intanto Pierluigi tratta l'acquisto di qualche piattello labiale” sono fatti di terracotta, molto carini. -Che ne dite se sbarchiamo all'aeroporto col piattello al labbro? Sai che facce i nostri a casa? Gianni ed Io regaliamo qualche penna e bottiglie di plastica vuote che devono essere particolarmente utili visto che le chiedono tutti. -Hai notato che tutti i maschi hanno il Kalashnikov?” dice Pierpaolo a Gianni. -Eh già, questi mi sa che lo usano anche con facilità, risponde a metà tra il serio ed il faceto. -Ma no! Ci dice Michele le pallottole costano! E per usarlo ci deve essere un buon motivo. In ogni modo scattiamo le nostre foto, lasciamo l'obolo promesso e dopo circa un'ora dal nostro arrivo ripartiamo convinti di aver provato un'esperienza unica. -Credo proprio che se ci fossero arrivati gli antichi Romani li avrebbero trovati così, dice Pierpaolo. -Tra qualche anno sarà impossibile rivederli come oggi, già sono stati contaminati dai turisti, se chiedono soldi è perché qualcuno glieli ha dati per primo, ”chiosano” Pierluigi e Michele. Torniamo al Campo, per strada abbiamo incontrato il gruppo di Maurizio che non rivedremo più, il loro tour proseguiva al contrario del nostro, sono seguiti baci e abbracci ed un consiglio di Maurizio a Michele: -Per arrivare al campo di Roussos, la pista è bruttissima, s'indovina appena nel bush confondendosi con le tracce delle poche Jeep di cacciatori, mi raccomando guarda le montagne devono rimanere sempre a sinistra. -Andiamo bene, sussurra Michele, che poi ci confiderà di essere stato seriamente preoccupato sia per la pista che se si fosse persa avremmo rischiato di girare a vuoto per due giorni, sia perché carichi com'eravamo di vettovaglie e benzina aveva dubbi sulla resistenza delle nostre balestre (e valli a trovare dei pezzi di ricambio in mezzo alla savana !!). Al campo, turisti rilassati come noi non ne avevano visti molti, dopo il pranzo Michele propone di andare all'Head-quarter: -Voglio domandare se possono procurarmi un pezzo di una radice che cresce solo da queste parti, è in grado di purificare qualsiasi tipo d'acqua per quanto sia fangosa e piena d'impurità. Basta creare un movimento circolare dell'acqua e le impurità precipitano. Arriviamo dopo 10 minuti di cammino, il direttore ci accoglie affabilmente e mette a disposizione di Michele uno scout che conosce bene la radice, ma prima di andare via ci fa conoscere l'ultimo ospite del campo, così almeno traduce Michele, ovvero un cobra di notevoli dimensioni che sonnecchia dietro dei barili a non più di 200 metri dalle nostre tende. Ci avviamo al nostro campo e subito lo scout trova per Michele la radice desiderata -Vedrete, dice lui, qui non ci serve, ma quando arriveremo sull'omo … Un pochino preoccupati per la promessa di altre difficoltà, facciamo un giro per il parco con il fuoristrada alla ricerca dei grandi erbivori che non troviamo, ammiriamo però gazzelle, dik-dik, facoceri e torniamo, prima che faccia buio per preparare la cena. Il dottor Casa detto anche il nullafacente a questo punto mostra un barlume di genialità, mentre il cuoco (Pierpaolo) ed il cambusiere (Gianni) preparano una pasta con le sarde, resosi conto che andando avanti così avremmo dovuto razionare l'acqua da bere prepara dopo aver fatto bollire l'acqua del pozzo del tè: -E' ottimo” esclama soddisfatto dopo averlo assaggiato con l'immancabile bicchierino fregato all'etiopian airlines. Sarà il primo ed ultimo compito che sarà espletato dal nostro P. nel corso del viaggio. Mangiamo ed al lume delle lampade cominciamo a chiacchierare quando dal campo contiguo vediamo arrivare i nostri amici milanesi, sempre più stanchi con i quali discorriamo per un ora buona. -Attenti ai guresa stanotte, fanno rumore ma non abbiate paura, sono innocui, dice Pierpaolo salutandoli. -FARSOOO!!!” dice dietro Pierluigi “Che ieri sera te morivi dalla paura!” E ridendo ci avviamo tutti a dormire. Ore 06,30 Stranamente tutti siamo in piedi pronti per la partenza alla volta di MURULLE. Velocemente facciamo colazione e partiamo (sono già le nove del mattino). Iniziamo prima il guado, poi inizia la savana. -Attenzione alla mosca tsè-tsè, ci dice Michele. -Mi metto l'Autan, soggiunge Pierpaolo. -Peccato che il finestrino è rotto, continua Pierluigi. -Mi dispiace per voi, ma l'unico che funziona è quello mio, cioè dell'autista. Peggio per voi, conclude Michele. Non fa in tempo a finire la frase, che inizia un terreno simile al borotalco. La macchina si riempie di polvere. Gli occhi di noi tutti cominciano a lacrimare. Si respira male e si comincia a tossire. Cerchiamo di chiudere i finestrini come meglio possiamo e riusciamo a resistere. Dopo circa tre ore di strada incontriamo un gruppo di uomini e ragazzi completamente nudi che con una moltitudine di capre al seguito ci corrono incontro urlando tra il divertito e il diffidente. Continuiamo ancora per qualche centinaio di metri, quando ci accorgiamo che non ci sono più piste segnate. Le montagne sono sempre a sinistra, ma non c'è nessun punto di riferimento. Vediamo prima una capanna, poi ne seguono altre, giungono donne e bambini. Ci viene incontro un giovane, non avrà più di venti anni, è alto quasi due metri e sembra il capo villaggio. Michele si ferma con la macchina, gli si rivolge in lingua amarica e finalmente ottiene risposta. Inizia a parlare, chiede di scattare foto, veniamo accontentati. Il nostro nuovo amico, alla richiesta di informazioni circa la strada da prendere si offre di accompagnarci. Lo facciamo salire a bordo insieme all'inseparabile Kalashnikov e percorriamo circa tre chilometri. Arrivati a un bivio, ci fa cenno di fermarci, ci indica la strada da seguire e ci saluta sorridendo. Ricomincia la strada polverosa. Si susseguono termitai, arbusti, corvi, rare mandrie. Improvvisamente ci sbarra la strada a un bivio (le montagne sono comunque a sinistra) un ponte crollato. -Dove andiamo? Sussurra tra se Michele. -C'è una mandria, aggiunge Gianni, anzi c'è anche un ragazzo. Pierpaolo, Pierluigi e Gianni scendono dalla macchina, si fanno incontro al ragazzo (avrà si e no 10 anni) e cercano di stabilire un contatto. Prima un sorriso, ma non risponde, poi un ciao, ma ci guarda strano, come a dire: che volete. Porgiamo in regalo una penna, il ragazzo la guarda, ma non sa da quale parte funziona, scopriamo che non ne ha mai vista una in vita sua. Prendiamo un pezzo di carta facciamo vedere che scrive, ma appare assolutamente indifferente. Ci fa cenno che non sa cosa farci. -Ha ragione lui, esclama Pierlu. Per terra o sui sassi non si può mica scrivere. Facciamo una foto e lui non ci chiede neanche i soldi. Con dignità si gira e se ne va. Storditi da questo incontro degno di un altro pianeta, come cani bastonati pensierosi saliamo in macchina e senza aggiungere nessuna parola partiamo. E' preistoria. Mille anni fa, diecimila anni fa era la stessa realtà. Sempre un ragazzo non ancora adulto appresso al gregge, nudo come poteva essere allora. Una collana di corda vegetale al collo con un piccolo osso di una capra come unico ornamento. Non parlava nessuna lingua conosciuta. Viaggiamo per altre tre ore quando incontriamo una distesa lunga oltre un chilometro, completamente pulita senza sassi o arbusti. Solo una fila di pietre bianche ai lati della distesa. -E' un aeroporto esclama Pierluigi. -Siamo arrivati a Murulle ci dice Michele. Facciamo poche centinaia di metri e ci si presenta davanti una specie di ranch. Una grossa tavola che fa da architrave al cancello ci conferma: siamo finalmente arrivati. Mentre stiamo entrando Michele ci informa: -E' un lodge per cacciatori bianchi americani! La stanza con bagno costa mille dollari al giorno. Poi bisogna aggiungere l'aereo per venire, il fuoristrada e infine il costo di ogni animale abbattuto. Un leone può costare anche 100 milioni di lire. -A noi quanto costa, esclamiamo in coro. -Dormiremo in tenda e useremo solo il bagno per la doccia, non mangeremo con loro e non ci sarà acqua da bere. Con pochi dollari al giorno ce la caveremo. Michele e il meccanico-autista scendono dal Toyota. Vanno a parlate nella direzione del lodge. Escono accompagnati da un ragazzo di quattordici anni con Kalashnikov e veniamo accompagnati al pasto dove mettere le tende. Scegliamo un bello spiazzo con un tetto di alberi non lontano dal fiume. Montiamo le tende e veniamo assistiti dagli abitanti di etnia “Caro” che si prodigano per noi. Cominciamo a girare incuriositi per il campo. Sentiamo dei ruggiti. Sono i tre leoni che assonnati si ciondolano dentro una gabbia di volgarissima rete per recinzioni. -Da noi ci mettono i polli esclama Pierpaolo. -Tanto mangiano bene e sono sazi, continua Pierluigi. -Andiamo a fare una passeggiata, ci sprona Gianni. Usciamo dal lodge che è quasi il tramonto. Per terra si vedono delle impronte di medie dimensioni. -Ho la pistola, informa Pierpaolo. -A me non piace passeggiare al tramonto in mezzo alla savana, dice Pierluigi, tornando indietro. Con passo da cow boy Gianni e Pierpaolo si dirigono dalla parte opposta. -Noi andiamo a farci delle foto e torniamo, tanto siamo armati. Soggiunge con tono baldanzoso da “tenente Callagan” Pierpaolo. Passano non più di sette o otto minuti, allorché vediamo correre alla velocità della luce rientrando nel lodge. -Già di ritorno? Esclama perculeggiando Pierluigi. -Eravamo andati a fare un po' di footing, con tono di sufficienza, mi risponde Pierpaolo. -Siete due “sola” e pure “farzi”. Andiamo a mangiare prima che le zanzare con malaria ci piombino addosso. Passiamo tutti piacevolmente la serata intorno al fuoco. Mangiamo scatolette, beviamo thè freddo, parliamo del più e del meno. Scopriamo che il ragazzo che si cura di noi (tra l'altro parla perfettamente inglese) è il figlio del capo villaggio. D'inverno va a scuola e d'estate fa la guida e il guardiano al lodge. Ha la stessa maturità di un nostro giovane di 25 anni. -Al villaggio ci hanno chiesto se domani mattina potete visitare qualcuno e dare delle medicine, ci chiede il ragazzo. -Senz'altro, rispondono Pierluigi e Pierpaolo. E' una notte africana bellissima, un silenzio incantato che viene da lontano interrotto di tanto in tanto dai canti di uccelli notturni, le urla dei guresa che non ci spaventano più, ma ci fanno sorridere al pensiero delle notti al Mago park. Ogni tanto un ruggito forse dei nostri leoni addormentati che sembrano chiamare i loro amici nella savana. Si fa giorno. Mentre Michele e Gianni preparano il caffè, discretamente a distanza in attesa, aspettano i pazienti dei “medici bianchi”. -Guarda quanti mutuati! Esclama sorridendo benevolmente Pierluigi. -Tu sei il prof. E io l'assistente, aggiunge Pierpaolo. -Ma quale assistente! Lavoriamo in équipe, invita Pierluigi. Iniziamo con una bronchite, poi una congiuntivite, una gastrite, una diarrea e un raffreddore. -Medicinna, medicinna, chiedono i pazienti. C'è anche chi si finge malato per avere una pillola. -Sembra di essere al Pronto soccorso dell'Ospedale S. Pietro, dice Pierlu. -Dal mio medico della mutua non è molto diverso, continua Gianni. Dopo qualche decina di minuti arriva un giovane sorretto dal due amici. Sarà alto mt.185 e avrà circa 20 anni. -E' spaventoso, è un vero massacro, esclama stupefatto Pierluigi, osservando le ferite, le lacerazioni e le perdite di sostanza che laceravano tutto il corpo di quel giovane. Cosa gli è successo! Perché è così! -Ha avuto una relazione oltre un mese fa con la moglie del capo villaggio ed è stato “beccato” in flagrante. Lo hanno flagellato con una frusta di pelle d'ippopotamo davanti a tutti. Stava per morire, adesso sta meglio. Deve servire da insegnamento per tutti. Qui non ci sono tribunali, né carceri. L'amministrazione della giustizia spetta agli anziani e lui sapeva a cosa poteva andare incontro. Ci informa il nostro scout. -Cose da Medio Evo. Comunque non credo che lo farà più. Chissà cosa hanno fatto alla donna, ci diciamo tra noi. Finalmente partiamo alla volta di Omorate. La città di frontiera, ultimo avamposto prima del Kenya. La strada è lunga, ogni tanto piove, le montagne sempre a sinistra. I termitai a forma di pinnacolo ci fanno da cornice. Ogni tanto qualche impala, dei cudu, dik dik a non finire. Stormi di faraone che ci corrono innanzi. Un elicottero militare in lontananza che porta aiuti alimentari a villaggi in carestia dispersi oltre l'orizzonte. Cerchiamo di guardare la strada, ogni bivio è uguale all'altro. Senza GPS sono veramente le montagne che ci guidano mentre i chilometri scorrono a decine. Ancora polvere, sabbia, sassi, sete e sudore. Stanchi, ma soddisfatti incontriamo delle capanne, poi delle baracche di fango e lamiera, un fiume e un poliziotto che spianandoci il mitra in faccia ci ferma. -Scendete! Documenti! Il visto! Non potete andare. Qui è la frontiera. Ci dice la guardia. Consegnatemi i passaporti! Ingiunge! Li teniamo noi fino alla vostra partenza! -Non ti do proprio niente! Imbestialito, parlando in amarico, risponde Michele. Chiamami immediatamente il comandante. Siamo italiani, non ti dò nulla! I passaporti non li potete prendere! Chiamami subito il tuo comandante! Con la coda tra le gambe si allontana cercando il suo superiore. Aspettiamo oltre mezz'ora sotto il sole infuocato. Finalmente arriva sorridente il comandante della postazione. Gentilmente, sempre in amarico si spiega con Michele. E' un posto di frontiera. E' l'ultimo villaggio prima del confine. Si continua a trattare, infine ci si accorda: i passaporti rimangono a noi, ma ci accompagnerà facendoci da guida la stessa guardia che ci aveva fermato. A noi non sta bene e d'accordo col comandante ci facciamo accompagnare da un altro militare che era di riposo. Abbiamo fame e sete. Prendiamo una coca cola che è quasi fresca, traversiamo la strada e ci fermiamo a giocare con un “calcio balilla”. Sembra lo sport nazionale preferito dai cittadini di Omorate. Chiaramente vince Pierluigi, ex campione parrocchiale negli anni '50. Continuiamo a girare e ci fermiamo a un “ristorante”. E' una serie di baracche e paillotte sotto cui riposano un “pochino alticci di birra” gli avventori. Ci sediamo, ordiniamo tips e birra. Tutto il villaggio incuriosito dal di fuori ci osserva. Entra un anziano. Sembra avere 80 anni. Cammina appoggiandosi con un bastone, è pieno di rughe e ha gli occhi vivaci nonostante l'opacità della cataratta che lo affligge. Parla un poco inglese e un poco italiano. Vive vendendo bastoncini di radici per pulire i denti. -Quanto costano, chiede Pierluigi. -Un birr gli risponde. -Quanti ne hai? -Otto mazzetti da venti bastoncini! -Dammeli tutti, conclude Pierluigi. -Mi offri una birra? -Siediti a pranzo con noi, invita Michele. Mentre ci sediamo e scherziamo del più e del meno, beviamo birra e coca cola fresche. -Come mai parli italiano? Chiede Pierpaolo. -Ho lavorato per anni con un cacciatore bianco, era molto gentile, mi diceva sempre stronzovaffanculononcapisciuncazzocoglione! -Quanti anni hai? -Quando sono andati via gli italiani caminavo appena, risponde Capimmo che aveva si e no 55 anni. -Ha quasi la mia età e sembra mio padre.Concluse Pierlu Lo invitiamo a sedersi con noi e a mangiare qualcosa. Accetta, ma preferisce sedersi al tavolo a fianco il nostro. Timidamente altri anziani lo imitano e noi offriamo da bere a tutti. Dopo esserci abbondantemente rifocillati, ci alziamo e torniamo al posto di polizia. L a nostra “body guard” ci sta aspettando. La barca che deve portarci dall'altra parte del fiume è pronta. Sembrano tanti pezzi di lamiera dei biscotti “gentilini” tenuti insieme da alcune tavole e qualche chiodo arruginito. In compenso il remo è una pertica di legno lunga circa 4 metri. -Se quello è il remo, sussurra Pierluigi, vuol dire che il fondale è basso. Male che vada se cadiamo in acqua e non moriamo di coccodrilli e ameba dall'altra parte del fiume ci arriviamo. Vediamo dei bambini che nuotano nell'acqua fangosa del fiume e ci rassicuriamo. Impieghiamo circa 15 minuti per traversare il fiume. Sbarchiamo e ci dirigiamo attraverso una pianura di terra e polvere. In lontananza vediamo delle capanne e dei bimbi completamente nudi che ci corrono incontro. Vengono verso di noi anche alcune donne. O osservare meglio non vediamo nessun uomo. Solo donne e bambini. Arriviamo al villaggio dove veniamo accolti cordialmente. Anche lì è preistoria. Vivono dall'altra parte del fiume, ma ci sono differenze allucinanti. Da una parte si vede un contatto con la civiltà, molta povertà, ma si ha sentore che si sa che esiste un mondo nuovo. Dall'altra, invece gli unici beni sono le vacche con cui si possono comperare le mogli (più vacche si hanno e più mogli si tengono) e le capre che danno da bere e da vivere. L'età media sembra essere dai 0 ai 25 anni. Pochissimi sembrano essere più grandi. Solo due o tre donne hanno aspetto anziano. Le capanne sono fatte di rovi, arbusti e pezzi di tela di juta, lo stesso tessuto con cui ci fanno i sacchi. Sono tende tipiche di popoalzione nomade. Facciamo alcune foto. Qualche bimbo ci accompagna tenendoci per mano orgoglioso di compagnare un bianco. Diamo i soliti birr per ringraziamento, alcune penne par scrivere e rientriamo riattraversando il fiume per Omorate. Riprendiamo un'altra birra e coca cola e ripartiamo. -Speriamo di arrivare quando è ancora giorno, si augura ad alta voce il nostro autista-tour operator Michele Cannizzaro. -Basta che teniamo le montagne a destra e il fiume a sinistra e non avremo problemi!, cerca di rassicurarci Pierpaolo. La strada del ritorno sembra più lunga. Tutto bene fino a quando percorriamo la pista camionabile che costeggia immense distese che un tempo erano risaie e ora sono diventate deserto. Giriamo a sinistra e attraversiamo un dedalo di incroci tra piste di animali. Le montagne sono a destra. Continuiamo tra termitai e stormi di uccelli che svolazzano inseguendosi in cerca di cibo. Viene la sera. Lo splendido tramonto africano dipinto di rosso e arancio che a descrvere non si può immaginare ci saluta disegnando all'orizzonte montagne e savana. Si fa notte. Continuiamo a correre col toyota. E' buio. Non si arriva mai. Non abbiamo punti di riferimento. -Facciamo altri 10 km. Poi ci fermiamo e dormiamo in macchina, propone Michele. Dopo non più di tre km tra gli arbusti e le foglie di improbabili alberi, vediamo dell'acqua. Ci fermiamo. Accendiamo le torce e sentiamo il fiume che scorre. Scendiamo con circospezione cercando di fare rumore. Osserviamo bene e vediamo il grande fiume. Ci siamo persi. La strada è strettissima passa appena la macchina con i rami che urtano graffiando gli sportelli. -Al primo slargo che incontriamo, ci fermiamo, ci rassicura Michele. Facciamo altri 100 metri e, non credendo ai nostri occhi, al lato della strada vediamo sorretto da due pilastri di cemento un grande cancello di ferro dipinto di grigio. -Forse è una missione! Riprende Michele. Suona ripetutamente col clakson e si ferma. Trascorrono alcuni lunghissimi minuti. Il cancello cigolado si apre. Escono una ventina di uomini armati fino ai denti con una lampada a pertolio che manda una luce sinistra in quella sera illuminata dalla luna a metà. Cerchiamo di vedere oltre il cancello e osserviamo in lontananza un grande piazzale sul fiume con camion e trattori parcheggiati da un lato. ( Ci diranno in seguito fonti non bene informate che era una base di americani al confine col Sudan.). Michele inizia a parlare in amarico. Loro non sembrano capire. Continua in inglese. Non capiscono. Interviene un giovane che inizia a fare da interprete parlando inglese e lingua “CARO”. Ci spiega che è pericolosissimo per loro accompagnarci. Stanno in guerra con gli Ahmer. La settimana passata in uno scontro erano morti in molti e se lo avessero preso di notte avrebbe fatto la stessa fine anche lui. Michele non si da per vinto. Promette soldi e il ritorno in macchina per chi ci avrebbe accompagnato. Si consultano tra gli anziani e si concorda il prezzo. Il giovane sale con noi e torniamo indietro. Facciamo circa 15 chilometri lasciando vari segni sulla pista. Arrivati a una piccola biforcazione, il ragazzo ci fa segno di fermaci. Scende insieme a Michele e disegna sulla terra la strada da fare. Pianta un bastone con una busta di plastica sulla via e ci fa ceno di tornare. E' fatta! Lo riaccompagnamo, riprendiamo la strada del ritorno e, seguendo le indicazioni, dopo non più un ora arriviamo a Murulle. Tutti ci stanno aspettando con il fuoco acceso. Stanchi, ma visibilmente contenti ci sediamo acconto alle nostre tende per una meritata e “buonissima” cena a base di tonno e scatolette di carne australiana. Ore 07.00 di lunedì 26 agosto 2002 Sveglia con caffè e biscotti Ore 07.45 Poliambulatorio della mutua di Murulle. 20 “mutuati” in attesa J . Giovani, donne e bambini. Ore 09.00 Si parte. Ci sono due strade: la prima passa vicino a Omorate (la strada di ieri), è lunga cica 80 km. La seconda, invece è circa 10 km. E' una brutta strada, passa per le montagne, ma ci dicono che con un fuoristrada come il nostro è possibile passare. Facciamo un minimo di considerazioni e decidiamo per quest'ultima opzione. Dobbiamo andare al mercato di Turni che c'e il lunedi e quasi sicuramente potremo assistere alle cerimonie di agosto. Turni è un piccolo centro al centro del territorio della popolazione Ahmer. Tutti i lunedì c'è il mercato. Maurizio aveva consigliato di non mancare perché sicuramente si svolgeva il “Salto del Toro”. E' una delle ultime cerimonie di iniziazione rimaste in Etipia, ci disse. E' preceduta da una flagellazione delle donne della famiglia del ragazzo che farà il salto. Se il giovane sbaglierà sarà cacciato dal villaggio. Non è una cerimonia turistica. Se volete assistere conosco un ragazzo che vi può introdurre e vedere questo evento che presto scomparirà insieme alle usanze del popolo Ahmer. Non aggiunse altro, ma fu sufficiente per convincerci ma non mancare. Ore 10.00 Abbiamo fatto appena 4 km in un ora, La strada è bruttissima: frane, guadi, macigni.La strada che si vede e si perde, per ricomparire dopo un km senza essere sicuri se sono tracce di animali o sentieri. L'unica cosa che ci rassicura sono delle tracce incerte di ruote di fuoristrada lasciate non meno di 4-5 giorni fa. -Chissà se sono del toyota di Maurizio, si domanda Pierluigi. Ore 11.00 La strada è leggermente migliorata. Non abbiamoancora visto né animali, né uomini. Solo qualche rara traccia di capre ci indica che c'è vita. Quasi all'orizzonte in cima ad una collina scorgiamo una capanna rettangolare con una croce sul vertice del tetto. Man mano che ci avviciniamo, si iniziano a vedere tracce di vita: in lontananza un recinto di rovi, poi quella che ci sembrava una chiesa. Senza parole e avanzando lentamente, la vediamo devastata: porte e finestre scardinate, delle lacerazioni alle sulle pareti che fanno filtrare luce. -Avvicinami la borsa con la pistola, chiede Michele a Gianni. Mentre un pochino preoccupati procediamo, uscendo correndo dai cespugli ci si piazzano davanti al Toyota una ventina di bambini di 3-5 anni. Cantano e ridono urlando e battendo le mani. Tiriamo un sospiro di sollievo e ci fermiamo. Arrivano altri bambini, arrivano le madri e donne del villaggio. Circondano la macchina e non ci fanno passare. Sul lato destro della macchina appare un vecchio con la faccia inespressiva con a tracolla un Kalashnikov. Sul viso ha stampato un sorriso “alla Berlusconi”. Non dice una parola, ma osserva in silenzio le donne e i bambini che cantano e battono ritmicamente i bracciali di ferro che hanno ai polsi e alle caviglie. Passano minuti interminabili. Capiamo che vogliono qualcosa da noi. Pierpaolo non capisace bene, Gianni farfuiglia qualcosa. Pierluigi bisbiglia a Michele: -Fai attenzione. Inizia la sceneggiata: Michele scende, cerca di parlare, ma non viene capito. Parlano una lingua sconosciuta. A gesti chiede di fare foto in cambio di soldi. Le donne guardano il vecchio, che annuisce. Pierluigi dalla macchina inizia a fare foto dal finestrino. Michele sposta dallo stesso lato donne e bambini. Li riunisce in gruppo per “una foto di famiglia” liberando la strada davanti alla macchina. Facciamo qualche foto. -Ecco i soldi per voi, dice Michele. Inizia a distribuire biglietti da un Birr ai bimbi. Un birr a ciascuno. -Datemi altri soldi!, continua. Senza perdere tempo glieli porgiamo. Continua la distribuzione, intervengono le donne. Michele dà biglietti anche a loro. Fa cadere dei biglietti per terra. Il vento li porta via. Inizia il caos: le madri che cercano di togliere i soldi ai bambini che scappano da tutte le parti. Michele risale rapidamente in macchina. Gli si pone una vecchia davanti con la mano tesa urlando parole incomprensibili. Sembra una maledizione. Raccoglie della sabbia, ci sputa sopra e la getta per terra. Michele si sporge dal finestrino, ingrana la marcia. Quasi investendola le mette 20 birr in mano. Evidentemente per lei è una somma enorme. Ha un attimo di esitazione. E' quanto basta! Sgommando e portando il motore in fuori giri, il nostro tour operator riesce ad allotanarsi. -Bravo Michele, urliamo in coro. Passano altri chilometri, poi un altro villaggio, di nuovo i bambini che cantando invadono la strada. Michele Accelere e portando il motore su di giri per fare rumore inizia a suonare il clakson. Fa finta di andare contro ai bambini e alle donne che stanno sopraggiungendo. I bimbi si spaventano e scppano, le donne imprecano e noi ci allontaniamo. -Mi sa che era meglio l'altra strada, con ironia esclama Pierluigi. Ore 13,30 Ecco un bivio, ricomincia la strada polverosan tracce di macchie e camion ci invitano a proseguire. Ecco Un villaggio, forse una città. Un posto di polizia con una bandiera che sventola al sole in cima a un palo telegrafico. SIAMO ARRIVATI A TURNI J ! Dopo tanti giorni di savana deserto e desolazione finalmente la parvenza di un paese con contatti civili. C'è anche una strada che un tempo era stata asfaltata. Un albergo “african style” e un improbabile ristorante ci confermano che siamo arrivati a Turni. Dopo aver fatto vedere i documenti parcheggiamo la macchina al posto di poloizia e ci dirigiamo al mercato. Girando a piedi vediamo gli abitanti del villaggio, ma anche le donne della popolazione Ahmer.Sono bellissime. Hanno tutte un gonna di pelle conciata adornata con perline. Il resto del corpo è nudo coperto da collane e talvolta da delle lacere magliette. Hanno il corpo coperto di un unguento (forse grasso animale o olio) che luccica riflettendo il sole. Ai polsi e alle caviglie grossi bracciali di metallo che suonano con i loro movimenti. Sorridono, vogliono foto in cambio di pochi spicci. Proseguiamo per il mercato. -E' il mercato più povero che ho visto in Africa! Esclama Pierluigi. Vedo solo pochi pezzi di carbone, qualche seme, al massimo ce ne sono tre manciate per ogni bancarella. Niente vestiti, né utensili e oggetti di artiginato! -Fermati che ti faccio una foto, interviene Pierpaolo. -Aspetta, che voglio comperare una collana da una di loro. -Che schifo, non vedi che sono sporche, unte e puzzolenti. Sono delle piccole ossa di capra legate con un budello! -Pensa per te, vedrai che se le lavo bene non puzzeranno più e appese in salotto a Roma faranno la loro figura. -Quanto ti hanno chiesto? -Dieci birr (n.d.r. 2500 lire), ma vedrai che per cinque me la danno. Inizia la breve trattativa e alla fine per 6 birr + 2 fotografie di gruppo Pierluigi chiude la trattativa. -Certo che a Pierluigi , in fatto di tirchieria, i ragazzi israeliani incontrati al Mago park gli fanno un baffo, prendendo in giro, dice Michele. Riprendiamo il cammino, recuperiamo la macchina e andiamo al “camping” dove potremo mettere le tende. Appena usciti dal paese, vediamo l'argine di un fiume secco. Al centro del letto alcune donne Ahmer fanno con le mani un buco nella sabbia e iniziano a bere l'acqua che compare da sotto la sabbia. -Io sarei morto di sete e non avrei mai immaginato che in questo deserto a pochi cm. dalla superfice c'era l'acqua, esclama il solito Pierluigi. A pochi metri vediamo dei grandi alberi verdi con la enorme chioma ad ombrello che sembrano aspettarci. Dal nulla compare un uomo dal'età imprecisabile. Vestito alla maniera locale: gonnellino corto, maglietta di Ives St. Laurent. un po' bucata, un frustino sotto l'ascella. Che con ampi gesti ci fa segno di accomodarci. Michele in amarico contratta il prezzo e ci sistemiamo. Ore 15.00 Dopo aver montato le tende, scendiamo sul letto del fiume e ci si presenta davanti uno spettacolo incredibile che ci fa accapponare la pelle. In lontananza vediamo dei gruppi di donne che cantano, battono le mani e con una frusta in mano incitano un ragazzo dall'aria spaurita a colpirle. Le giovani (poi sapremo che sono delle parenti dei giovani) coperte di grasso quasi completamente nude, piene di ferite e cicatrici sulla schiena e sul tronco e con un fishietto in bocca in fila indiana si facevano colpire con tutta la violenza possibile dai giovani. Non un grido. Non un movimento per evitare il colpo. A spintoni facevano a gara per essere colpite. -Se ti sposi con una di quelle e ci litighi, se le flagellate non le sentono, devi usare solo il mitra, conclude Pierpaolo. -Roba medioevale, continua Pierluigi. -Sono stanco, dice Michele sdraiandosi per terra. E SVIENE J ! -Forse gli sarà andata per traverso la coca cola? Chiede Gianni. Dopo oltre un' ora di “meritato riposo” ci dirà che è stato uno sbalzo di pressione insieme alle frustate, il sangue e l'odore di grasso rancido che sentiva e la fame a causare quel piccolo malore. Il tempo non passa mai tra frustate dei vari gruppi, i giovani in disparte che venivano dipinti sul volto per l'iniziazione con colori estratti da pietre e vegetali, le donne frustate sdraiate per terra a riposarsi e gli anziani che sul greto del fiume sceglievani i rami di salice più adatti per costruire fruste. L Mentre apetiamo il tramonto ci si avvicina il ragazzo che ci aveva indicato Maurizio Meloni. E' un ragazzo di circa 16 o 18 anni magro e sorridente che dopo le presentazioni ci raconta: -Siamo alla cerimonia del “Salto del Toro”. Ogni anno in questo mese tutte le famiglie delle tribù Ahmer si radunano per la ceriminia dell'iniziazione. E' un momento di grande importanza: I giovani per diventare adulti ed essere accettati dalla comunità e dalle donne devono sottostare alla grande prova. Devono saltare per tre volte avanti e indietro una fila di ddieci tori allineati. Possono fare tre tentativi. Se falliscono verrano frustati e allontanati dal villaggio. Con la cerimonia della flagellazione le donne della famiglia vogliono dimostrare che il giovane deve avere coraggio a frustare le donne del villaggio allo stesso modo con cui loro non hanno paura a sottoporsi a flagellazione senza muoversi né dare segni di dolore. La sessualità delle Ahmer è abbastanza singolare, infatti non esiste né la monogamia né la fedeltà. Anzi se una donna non ha rapporti con uomini, vuol dire che non è desiderabile e questo è un'ignominia. -Beati i ragazzi di queste parti, sussurra in un orecchio Pierpaolo a Pierluigi. -Peccato che ci vorrebbero almeno quattro giorni di bagno in acqua e sapone per togliere il grasso e le decorazioni, risponde Pierluigi. -In ogni caso sono delle donne bellissime, concordano in coro sorridendo. -Venite con me, vi farò assistere alla cerimonia, e ci fa cenno di seguirlo ci interrompe il giovane. Iniziamo a camminare sopra una collina che sovrasta il letto del fiume in secca, insieme a noi a gruppi anche quelli del villaggio. Gli Ahmer non sembrano preoccuparsi degli estranei e continano a salire a piccoli gruppi Arriviamo sul piccolo altipiano, arrivano mandrie di tori che copaiono dietro una nuvola di polvere. L'atmosfera si fa più concitata. Alcune donne si fanno strada litigandi tra loro per essere frustate. Scene di isterismo collettivo. Gli uomini da una parte che istruiscono il giovane da iniziare, le donne che danzano ritmando una danza tribale. Il ritmo che si fa frenetico. Mischiati tra loro Altri giovani del villaggio vestiti da europei che incitano le givani. Si accosta a Pirluigi un ragazzo con la pettinatura a “sumatura alta”, gli occhiali Ray Ban a goccia, con un filo d'erba tra le labbra, quasi a masticare una ceewing gumm e rivolgendosi a un suo amico esclama a voce alta in Amarico. -Guarda quel Galla (Pierluigi), deve essere proprio un poveraccio! Ha lo stesso orologio che da noi vendono al mercato! -Caro Dr. Pierluigi Casa pediatra di fama internazionale, esclama Michele Cannizzaro noto imprenditore italiano in Etiopia, ti sei fatto riconoscere anche qui!!!!!!!!!! J Non fa in tempo a finire la frase che improvvisamente cala un silenzio spettrale su tutta la spianata. Da una parte il sole in un tramonto africano: una palla rossa di fuoco che si nasconde tra nuvole e arbusti. Dall'altra i tori allineati nervosi uno affianco all'altro. A far da cornice le donne Ahmer in attenta osservazione e gli uomini a circondare, quasi a proteggere i giovani completamente nudi pronti per la cerimonia iniziatica. Esce dal gruppo anche lui completamente nudo il nostro giovane amico. Non ha ornamenti. Inizia a correre, salta calpestando la schiena dei tori. Una volta, torna indietro, una seconda volta, ritorna, una terza volta. Alla fine della prova scende a terra con la grazia di una gazzella. Tutti ammutoliti approvano, subito dopo il primo giovane, appare impaurito, salta, sembra indeciso, continua, scivola, ma si rialza. Inizia da capo. Al secondo tentativo riesce! Seguono altri tre giovani. Poi è grande festa: le donne cantano, i giovani si rallegrano, gli anziani appaiono orgogliosi e soddisfatti. Il sole è tramontato, non è ancora buio, ma tutti ci allontaniamo pensando: -Chissà se si rivedrà ancora! Tra pochi anni tutto ciò sarà solo il lontano ricordo di una tradizione millenaria! Rientriamo al campo, ci scambiamo impressioni e riflessioni. Arriviamo alle nostre tende. Controlliamo che tutto sia ok. Mentre decidiamo il da farsi,scorgiamo in uno slargo non lontano da noi due fuoristrada. Sono i milanesi di qualche giorno fa! Osserviamo la loro splendida performance: Tende, cucina da campo, doccia, salottino con tavolo, sedie e frigo bar, la toilette. Il cuoco, il cameriere e l'autista concludono il gruppo. -Avranno speso almeno 18 milioni per 20 giorni, riflette Michele. -Noi con autista-meccanico-che fa anche da cameriere in quattro, a parte la macchina spenderemo meno di un quinto, si rincuora Pierpaolo. -Grazie Tour Operator, gridiamo tutti in coro, rivolgendoci a Michele. Le poche persone presenti al nostro schiamazzo si girano. -Penseranno che siamo italiani, sorridendo ci diciamo. Non ci va di cucinare e saliamo al villaggio. Senza troppa fatica ritroviamo il ristorante-albergo “african-style” che avevamo visto al mattino: tetto in lamiera, pareti di fango verniciate di smalto verde scrostato, una piccola lampada a olio che illumina i pochi tavolini sporchi di grasso. Alcuni sgabelli completano l'arredamento. Ordiniamo birra e tips e ci sediamo. I nostri commensali anche se abbastanza bevuti appaiono molto ospitali. Mentre consumiamo il nostro pasto frugale, appare dal nulla un “omino bianco” sulla cinquantina. Ha i capelli grigi, dei baffetti molto curati, perfettamente sbarbato con camicia e pantaloni in tela puliti ma un po' sgualciti. Sorridendo, con accento tedesco ci dice: Hallo! -Siediti con noi, invita Michele. -Grazie, una birra per tutti ordina il tedesco. E' simpaticissimo! Fa l'ingegnere. Ha lavorato per molti mesi come docente all'Università in Sud Africa. Ora ha finito l'incarico e sta tornando a piedi in Germania. Lo guardiamo attoniti e stupefatti e Pierpaolo timidamente gli chiede: -Come è venuto fin qui? -A piedi, risponde candidamente. -Mi racconti qualcosa in più? -Sono un professore universitario, ho lavorato a un progetto per oltre due anni, ora è terminato e sto tornando a casa. Iniziero all'università di Monaco a novembre. Sono partito quattro mesi fa,ho utilizzato autobus, treni, autostop, bici. Ho traversato il Sud Africa, il Malawi, la Tanzania, il Kenya e sono arrivato foin qui. -E come proseguirai? -Andrò a nord verso il Sudan,Egitto, Giordania, Siria e Turchia, poi non ho ancora deciso se prendere l'aereo oppure continuare in treno fino a Monaco. -Ma è un viaggio difficile e pericoloso! -Non direi. Difficile? Abbastanza! Però quando ho traversato buona parte dell'Asia il Tibet Nepal e Mongolia è stato più complicato. Pericoloso? Assolutamente no! Io viaggio da solo, con me non ho nulla, non c'è motivo per cui mi debbano rapinare o debba succedermi qualcosa, mi confondo perfettamente con tutte le persone che incontro o con cui viaggio. -Questo è il mio email, quando arrivertai in Germania ti sarei grato se potessi scrivermi. Sono curioso di sapere quando arriverai, con quali mezzi e seguendo quale itinerario. -Sicuramente lo farò! Finiamo di mangiare e, dopo esserci calorosamente salutati ce ne andiamo ognuno per la propira strada. Usciamo dal ristorante illuminato dalla sua piccola lampada a olio e iniziamo a camminare sotto il cielo illuminato dalle stelle. Soffia una leggerissima brezza che disperde il calore accumulato durante il giorno. Ritornati al campo vediamo i Milanesi in versione “camping africano di lusso” che sorseggiano un the alla lce della camping gas da 300 watt. Un breve cenno e: -Volete un bicchiere di vino? Invita Michele. -Accomodatevi per un dolce, risponde Lei. -Dove siete diretti? -Giriamo tutta l'Etiopia, impiegheremo tre settimane. -Mi sembra che vi siete organizzati abbastanza bene. -E' il massimo che potevamo avere qui. -Una vacanza nel migliore albergo delle isole Tonga sarebbe stata più comoda e sarebbe costata la metà, interrompe acidulo il marito. -Ma qui siamo in Africa vera e stiamo assistendo a eventi che presto non ci saranno più, ribadisce Lei -Meno male che arriverà il progresso. Non sono problemi miei. Dubito che ti riaccompagnerò ancora. Passiamo la serata senza particolari emozioni e in completo relax. Alle tre andiamo a dormire e il giorno dopo il grande ritorno. Mercoledì 28 agosto Ore 15.00 Sorprendentemente presto arriviama al lago di Awasa. E' un posto incredibile. C'è la più alta concentrazione di coccodrilli mai vista. Affittiamo una piccola barca in lamiera e ci avventuriamo portati da un piccolo motore foribordo. Davanti a noi si librano enormi stormi di pellicani che coprono il cielo. Il lago calmo sui cui solcano zattere spinte da remi a pertica di pescatori in precario equilibrio e solitari pescatori che tirano piccole reti e pesci a traino. Svoltiamo un ansa e sdraiati domicchianti al sole ci appaiono centinaia di grossi coccodrilli. Qualcuno di loro pigramente si immerge. Guardiamo meglio e a pochi metri decine di occhi ci osservano da sotto il pelo dell'acqua. Inorriditi ci rendiamo conto hce sono coccodrilli sommersi per nulla spaventati dalla nostra presenza. -Non vi preoccupate,ci dice il barcaiolo, sono protetti e non aggressivi. Improvvisamente tutti i nostri “amici” si alzano e correndo fuggono in acqua. -Che succede? chiede Gianni. -Sono arrivati i bracconieri, risponde il barcaiolo indicando alcune persone che camminano sulla riva. -Ma non è pericoloso per loro? -Per loro no, per i coccodrilli si. -Ma i pescatori con le zattere non hanno mai incidenti? -E' raro, è più frequente per i bracconieri. -Come mai? -Spesso vanno di notte ubriachi a catturare i coccodrilli e cadono in acqua, oppure si addormentano sulla riva e vengono mangiati. Accadono una ventina di incidenti l'anno. -Credo che sia ora di tornare, sta venendo la notte, suggerisce Pierpaolo. Rientramo. Lo spettacolo è bellissimo:il tramonto, i riflessi del tramonto da una parte e del cielo della sera dall'altra. Continuiamo per l'albergo. Finalmente una doccia e un letto accolgono le nostre ossa rotte dalla fatica. Giovedì 29 agosto Rientro a Langano. Siamo a casa. Lo splendido chalet in legno fatto costruire da Michele sul lago è terminato. Un tempo di record. Dieci giorni. Si continua a dormire su un letto. Sempre una bella doccia e il bagno nel lago al mattino. Venerdì 30 agosto Addis Abeba Ci sembra New York. Finalmente luce elettrica, un bar, lo Sheraton (è il più grande e bello al mondo). Giunge la sera, Michele ci invita a cena al “Caffè de la gare”. E' un posto incredibile. Ci accoglie un personaggio incredibile, si chiama Morgan e parla italiano. E' un Etiopico abbastanza grosso, alto 1metro e 90. Ha i capelli grigi e ricci che fitti germogliano dalla testa sollevandosi in verticale per oltre25 centimetri. Ne avevo sentito parlare anche in Italia. Sorridendo ci fa accomodare a un tavolo innanzi al quale si esibiscono a frotte “cubo girls” sculettanti. E' uno spettacolo simpaticissimo e indescrivibile. Mangiamo in modo eccellente, sembra un ambiente familiare a Michele e agli amici che sono con noi. Dicono di non conoscere nessuno, ma li salutano tutti - Mah!! J . Finiamo di mangiare e Michele ci invita per un Drink in un altro locale. Ci accoglie gentilmente un altro amico di Michele. C'è un orchestra. Suona il chitarrista del gruppo di Bob Marley. E' un personaggio! Avrà all'incirca 60 anni, giovanile, ma “strano”. Magrissimo, fuma come un turco. Ha i capelli grigi. Ci guarda, sembra cercare l'ispirazione e inizia col gruppo. E' superlativo, un po' demodè, ma senzaltro a mio giudizio più gradevole di Mino Reitano che canta “Italia,Italia”. Sono le tre del mattino. La festa e il viaggio si allontanano. Michele e gli amici ci accompagnano prima all'hotel e poi all'aeroporto. Ci salutiamo. Un abbraccio e un arrivederci alla prossima avventura. -Buon ritorno a Roma! Vi aspetto per andare in Dancalia, il deserto più difficile da scoprire. Appena troverò i riferimenti giusti per viaggiare in sicurezza vi chiamerò e ripartiremo insieme! Spero che non debba passare più di un anno o due! Ci augura Michele abbracciandoci e salutandoci. Dr. Pierluigi Casa
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December 2023
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